Chi sono i poeti e a cosa serve la poesia? Non sono domande di facile risposta, infatti in ogni epoca e movimento letterario ci si è interrogati sul ruolo del poeta e della sua poesia nella società; a volte la ricerca arriva dai poeti stessi, altre volte gli intellettuali in generale forniscono la loro opinione, così come, talvolta, uomini e donne di potere danno un ruolo politico ai poeti, spesso per motivi propagandistici.
Nel romanzo "La casa degli sguardi" di Daniele Mencarelli la poesia è il fiume sotterraneo che accompagna tutta la trama e, lentamente, sgretola il terreno su cui si poggia fuoriuscendo di tanto in tanto, prima di tornare invisibile all'occhio ma presente nella storia, fino a prevalere nel finale. Il protagonista, Daniele, è un poeta che vive la sua sensibilità come una condanna perchè non riesce a godere della bellezza; le sfugge dalle mani e dallo sguardo e lui riesce a vederla solo come un qualcosa destinato a morire. Vive la bellezza, la gioia, l'amore, come nostalgia delle cose andate e che non potranno più tornare. Le parole lo aiutano ma riesce più facilmente a cedere alla "dimenticanza", ovvero quello stato che l'alcol gli dona dove può vivere senza soffrire. Il primo capitolo parla subito di lei:
Ma la poesia lo testimonia il dolore, non lo cura. Le parole mi accompagnano da sempre, sono cristallo e radice, viaggio e lama, sono tutto, tranne medicina. La poesia non cura, semmai apre, dissutura, scoperchia. Ma non c'è più la forza di fare poesia.
La poesia per Daniele è una compagna di vita; le parole lo aiutano a descrivere il suo Io più intimo, ovvero l'Io che realmente è lui, quello libero dalle dipendenze che lo trasformano e lo rendono schiavo, creando un filtro sempre più spesso tra lui e la vita vera e deformando la forma reale della sua anima. Sa bene Daniele tutto questo e la lucidità con cui l'autore racconta gli episodi in cui il protagonista si prepara alle bevute, alle serate, con il pensiero che corre ai genitori e al male che gli sta procurando da una vita, ci fa scivolare nella psiche di questo ragazzo e comprendiamo che non sta combattendo contro se stesso ma contro un demone. Impossibile avere la forza di distruggerlo da soli. Solo, perché la sola che accompagnava Daniele, la poesia, sembra essere scomparsa. Lui stesso ammette che è tanto che non scrive, ha perso la forza di fare poesia. Eppure ci sembra di capire che non ha bisogno di forza per fare poesia, ma è lei che dona forza a Daniele.
Qui entra in gioco il lavoro al Bambino Gesù di Roma; un posto in cui la sofferenza è letale e devasta tutta la bellezza che c'è al mondo. Allo stesso tempo, è un posto in cui la bellezza lotta e si mostra nelle relazioni umane, negli sguardi altrui: sono questi sguardi la forza motrice dell'umanità, capaci anche di scorgere l'infinito in un corpo consumato dalla malattia.
Non serve capire, comprendere. Serve accogliere l'umano con tutta la forza che ci è concessa. Arrivare alla bellezza che non conosce disfacimento, nucleo primo e inviolabile. Fronteggiare l'orrore per sfondarlo. Ecco il primato d'amore che ho visto negli occhi di quella suora.
Lo sguardo innamorato della suora che si posa su un bambino talmente sfigurato da essere un dolore guardarlo, rompe il velo che c'era davanti agli occhi di Daniele e lo restituisce alla vita: quella che ha perso cercando di non soffrire. E allora prova di nuovo a camminare in questa strada che si chiama Vita, inciampa e si rialza, cade e si tira su aggrappandosi alle parole, alla poesia.
La poesia deve farsi serva di tutte le esperienze che ho visto, deve offrirsi nella sua povertà miracolosa. La forma non deve essere foggia, deve obbedire ai volti e alle storie che devono vivere attraverso di lei.
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